Grazie al sostegno di Fondazione Spedali Civili, si investiga la correlazione fra Sars-Cov-2 e irregolarità del ritmo cardiaco
Diversi studi recenti hanno dimostrato come la pandemia di coronavirus possa essere associata ad aritmie cardiache. A tal punto che proprio le palpitazioni sono spesso il primo sintomo lamentato dai pazienti e tachicardia e fibrillazione atriale rappresentano, soprattutto fra le persone ricoverate in terapia intensiva, la complicanza più frequente dopo la sindrome da distress respiratorio acuto. Ma, una volta guariti dal Covid, quali sono le sequele che potrebbero avere questi pazienti? Le aritmie scompaiono, oppure no? E se no, peggiorano, restano stabili? Ha preso avvio anche da queste considerazioni «1000 ritmi del cuore», lo studio partito nelle scorse settimane all’Ospedale Civile di Brescia, grazie al sostegno di Fondazione Spedali Civili.
Primo obiettivo dell’indagine è: «La determinazione della prevalenza di aritmie sintomatiche e asintomatiche nei pazienti dimessi dalla cardiologia colpiti da Covid-9 – spiega Antonio Curnis, responsabile del laboratorio di Elettrofisiologia degli Spedali Civili, coordinatore della ricerca -. Obiettivi secondari sono poi la stima dei pazienti con fibrillazione atriale, che prima di quel momento non era stata individuata o trattata, e la caratterizzazione completa di tutte le aritmie cardiache che potrebbero essere rilevate durante il monitoraggio».
Come avviene il monitoraggio? «E’ qui che siamo entrati in gioco noi – ricorda Marta Nocivelli, presidente di Fondazione Spedali Civili -. Era, infatti, necessario acquistare un consistente numero di monitor Holter che, a differenza di quelli consueti, sono in grado di misurare, nelle 24 ore, anche pressione sanguigna e apnee notturne». Il RootiCare, questo il nome dell’apparecchiatura, presenta, inoltre, altri vantaggio rispetto a quella tradizionalmente utilizzata per la misurazione dell’attività elettrica cardiaca. «In primo luogo le ridottissime dimensioni – prosegue Nocivelli -, questo monitor misura infatti 2×6 centimetri, poi non è necessario applicare altri elettrodi collegati a cavi, si posiziona semplicemente sul torace con degli adesivi e la rilevazione inizia».
Ma l’assenso a questo studio da parte di Fondazione Spedali Civili ha anche a che vedere con un altro aspetto non secondario: «Indipendentemente dal risultato dell’Holter – sottolinea Nocivelli – l’opportunità che viene data ad un certo gruppo di persone di essere richiamate in ospedale per essere sottoposte ad un monitoraggio che diventa una sorta di followup della malattia Sars-Cov-2 rasppresenta, infatti, un notevole valore aggiunto perché di fatto è un controllo post-covid». Tanto è vero che tutte le persone fino ad ora interpellate hanno non solo aderito, ma hanno mostrato di apprezzare particolarmente la loro presa in carico per un follow up di cui sentivano, anche psicologicamente, la necessità.
Circa la metà dei pazienti che sono stati ricoverati in cardiologia con diagnosi di Covid-19 erano già seguiti per problemi cardiaci, ma alto è stato anche il numero di quelli che presentavano sintomi ex novo come miocarditi, aritmie o infarti senza problemi pregressi. «Al termine dei follow up – spiega ancora il professor Curnis – saremo in grado di stabilire quanti pazienti e in che misura mostrano ancora i sintomi che erano stati individuati al momento del ricovero in reparto. Una volta analizzate le registrazioni, tutte sottoposte ad algoritmi diagnostici automatici per aritmie cardiache e che quando identificate come potenziali anomalie vengono controllate visivamente da un cardiologo, ai pazienti verrà comunicato il referto e, quando necessario, saranno indirizzati al medico di base o allo specialista».